Gino
Era del ’12 e andava per i settanta, in quei tempi.
Aveva roca la voce, perché le corde vocali erano andate a farsi benedire dal bisturi dell’otorinolaringoiatra: che di “Nazionali Semplici”, di “Celestine” , ne aveva fumate, forse, un po’ troppe.
Quando parlava bisognava stare attenti, per capire quello che diceva. Si "inrabbiàva", con Se Stesso, se non si spiegava bene. Un po’ alla volta smise di parlare e, intelligente, nel taschino portava sempre una matita e un blocchetto e, a chi non lo capiva, scriveva sul foglietto.
Aveva sempre il cappello in testa, uno per l’estate, un altro per le stagioni fredde.
Si sentàva in Piassa, davanti al “Bar Puddu e vardàva passare la gente. Lo salutavano tutti e, alle Donne, bonariamente e, quasi ad omaggiarle, sussurrava: “Ciao S-croa (Ciao furba...)”. Se altri, tale epitaffio avessero emesso, ritengo "stramuxùni" o altro sarebbe seguito; ma a Lui ciò era concesso, perché era buono, con tutti e oltremodo simpatico. Una faccia da prendere in giro, la Sua maschera, sempre contento e nel taculìn aveva sempre cinquantamila Lire.
Dei Suoi cinque Figli solo la Prima, la Rita, diceva essere di sicuro Sua (naturalmente sorridendo!). La Seconda era nata in tempo di Guerra ed era bionda e diceva che era di un Tedesco, che ce n’ erano qua, in Paese. Il Terzo era un Tòxo: secondo Lui era del Cappellano. Le ultime due non potevano essere Sue, scherzava, perché, a metà anni cinquanta, non avendo sorà l’acqua di bojo, che era nel caìn e avendosì con quella fatto il bidè… raccontava di “aversi bruxà i attributi” e, in tale contesto era impossibile che, anni dopo avessero di nuovo…. funzionato allo scopo. Scherzava sempre.
Ma tant’è che dal 41 al 62 di Figli ne battezzò cinque e li crebbe bene, scherzando e ridendo, anche quando c’era poco da ridere. Così si fa.
Era nato nel 1912 e di fame e di guerra ne patì ‘bastanza'.
Della guerra, Grecia e Albania comprese, non parlò Mai. Mai!(Qualcosa raccontò...con una lacrima ...) Era un Alpino, vero, che sapeva che troppi fatti e circostanze era meglio tacerli e vivere il tempo che passa, tenendo dentro di sè i tanti Morti e Sofferenze passate e le cerimonie e i festeggiamenti lascarli agli altri, che, magari, gnanca un giorno di militare avevano fatto.
Diceva che si era sposato perché sennò avrebbe dovuto pagare la tassa sul celibato e non aveva "s-chei e ‘lora è ‘ndato" trovare la Maria che poi lo ha sposato. A maridàrlo è stato un Parroco che poi è diventato Vescovo, ma quando era qua era solo don Giovanni Mocellini. Era un caldo dì di agosto del 1940. Il compare era il paròn delle pompe funebri. Sul carro funebre Lui è salito tante volte…. Ma sempre par davanti e, assieme al Suo Amico e con il carro funebre, andavano anche a giocare foraccio al bar.
Da Sposato abitò, per alcuni anni, insieme a Suo Fratello Bepi.
Un giorno i Due Fratelli ebbero a discutere della scarsa Quindicina che portavano a casa, dalla Cartiera, dove lavoravano a “rolo”, a Turno. Per fare rabiàre Bepi tirò fuori dalla busta tutta la paga e tenendo in mano le banconote si mise davanti el specio del camaròn e Gli disse: coi i s-chei specià combinemo la Coperativa, la Farmacia e anca el Becàro e i schei al di qua dello specchio i tegnèno n’altri. Bepi era preciso e meticoloso e si è rabiato tanto. Però si volevano molto bene anche la Maria e la Katy.
Un’altra volta Bepi Gli illustrava che la nuova fornèla, che avrebbe comprato al posto del fogolàre, faceva sparagnàre metà legna. Lui gli ha allora detto di averne già ordinate due di stufe… così le legne si sarebebro sparagnàte …. tutte. Bepi si "inrabbiò n’altra volta…".
Quasi tutti avevano ormai messo il campanello elettrico alla porta di casa per suonarlo e farsi aprire. Lui invece, che a tempo perso faceva il pittore: disegnò un campanello e anche il bottone, marrone, dentro il cerchio e sotto, al posto del nome della Famiglia, scrisse: “premere fischiando”.
Quando gli anni passarono, ma Lui comunque restò sempre distinto e bell’uomo, faceva le parole incrociate e se la definizione che trovava, ai vari orizzontali e verticali, non era giusta, ma aveva lo stesso numero di lettere, la metteva lo stesso e poi, in qualche modo compilava comunque tutto il cruciverba: in libera interpretazione. ‘Rivàva sera lo stesso e Lui era contento.
‘Na volta ha fatto la schedina del totocalcio, due colonne. Una partita era Inter-Cagliari: e spiegò: ” Ma vuto che dopo ‘ver fatto cussì tanta strada el Cagliari vaga a Milan per perdere : el sarìa sta casa pitosto; Metti due!”
Un giorno ha detto alla Sua Maria, "cojonàndola" (deridendola), che quando era Giovane Morosa, Gli sarebbe piaciuto “ Magnàrla di baci” e adesso si sente pentito di “non ‘verla magnà”.
Intorno aveva sempre nipoti e nipotine e andò a prenderli all’asilo finchè la salute lo permise. La Sua famiglia, aperta e cordiale, rimase sempre giovane grazie al continuo via vai di parenti e amici: un spettacolo di umanità e disponibilità, un esempio !
L’ultima delle Sue Figlie, andava a trovarla in bicicletta, una Graziella. Aveva male alle gambe e la Bicicletta , in discesa, Lo serviva come un motorìn e, in salita, Gli faceva da bastòn.
Era sempre contento e il Suo sorriso lo mantenne anche in quell’ultimo anno, di estrema sofferenza.
Poi andò lassù, a prendere ancora in giro, Suo Fratello Bepi e a dire:” ciao S-croe” alle Tante Lei che ‘na volta passavano per la Piassa e Gli sorridevano, perché era buono e simpatico!
Lessio da Lugo
7/02/18
Cara Arianna, un racconto interessante, una vita da raccontare e apprezzare per non dimenticare.
RispondiEliminaCiao e buon pomeriggio con un forte abbraccio, qui continua il gelo, e con un sorriso:-)
Tomaso