Il tramonto di settembre
di Giovanna Grazian (Anna)
Sono qui, nel lettino da spiaggia a tre metri dalla battigia, con il rumore calmo del mare, che oggi è di una tranquillità insolita. Dopo il vento dei giorni scorsi, ora sembra che di bufere non ne arrivino più.
Una settimana fa, il giorno prima che arrivassi - mi hanno detto - chi ha vissuto l’evento è stato uno spauracchio.
Improvvisamente, si è levato un vortice di sabbia e sono volati gli ombrelloni.
Alcuni si sono riparati dentro le cabine ripostiglio, altri presi dal panico si sono gettati a terra, taluni gridavano; i gabbiani si sono abbassati emettendo strani sibili: un finimondo che ha lasciato attoniti i presenti.
La natura sembrava impazzita, irreversibilmente impazzita, senza nessuna avvisaglia si era capovolto tutto. Qui lo rammentano tutti i giorni il fatto, temendo si ripeta una seconda volta.
Ho con me un libro, un romanzetto romantico che me lo porto dietro da una settimana, e sono ancora alla terza pagina.
Mi sembra un sacrilegio stare china su un libro e perdermi il tutto che mi circonda.
Osservare il mare calmo mi fa bene. Fa bene al mio spirito, al mio corpo, alla mia mente. Fa bene agli uomini, ai bambini che vedo indaffarati con palette e secchielli, stampini e formine nell’eterno gioco con l’acqua e la sabbia.
Le onde ritmate e spumeggianti che arrivano a riva sembrano chilometri di merletti bianchi, lavorati a chiacchierino.
Andrea, il nostro bagnino, ha fatto salire due bambini meno fortunati, con le loro madri nel pattino di salvataggio. Si è inoltrato al largo, abbastanza in giù, fino a dove era consentito dalla boa galleggiante. Sono stati inseguiti da due gabbiani che volavano a pelo d’acqua, forse speravano in un lauto pranzo.
Non è la prima volta che i nostri amici portano il pane dei tavoli avanzato per loro.
Una decina di barche a vela si allontanano spedite dal venticello che soffia al largo; spiccano le vele bianche nell’intenso blu del mare; il cielo è cosparso di cirri immacolati, sembra che una fabbrica di cotone abbia lasciato cadere l‘intero prodotto di un anno, nel cielo azzurro.
Ora si staglia ad est la sagoma di un pesce gigante. Lo osservano in tanti : è un pesce grosso, steso in orizzontale, appena più bianco nello sfondo del cielo, ora azzurro chiarissimo.
Non mi accorgo neppure che il sole sta calando verso ovest, i raggi hanno diminuito l’intensità del calore e il pomeriggio volge al termine.
Sono i giorni più belli a mio parere dell’estate: i primi di settembre. Ora la bassa marea ha formato una specie di piscina vicinissima a noi, poi una striscia di sabbia, più in là la battigia. I bambini sono indaffarati ora, a concludere il loro castello. Stanno appoggiando sopra le torri una processione di conchiglie. I soliti due gabbiani reali atterrano lentamente vicino alle mura del capolavoro, come a dare il loro consenso sull’opera d’arte.
Due ragazzi stanno stendendo l’asciugamano davanti a noi. Dopo una breve occhiata - segno che gli diamo fiducia - si tolgono gli indumenti, l’orologio, lei gli occhiali che infila dentro la tasca dello zaino, infine raccoglie i lunghi capelli lisci con un forchettone e si avviano in mare.
Sono due ragazzi normalissimi, né belli né brutti, lei ha una carnagione talmente chiara che sembra non si sia mai esposta al sole. E’ come si guardano negli occhi, la tenerezza, l’intesa e la dolcezza con cui si allontanano che mi induce a seguirli per tutto il tempo che rimangono in acqua.
Arrivano dove l’acqua copre i loro fianchi e lui si getta per primo, poi fa una capriola a testa in giù.
Riemerge con i piedi all’insù, lei si avvicina e lo abbraccia. Quindi ancora è lui a tuffarsi, e nuovamente riemerge e con due passi l’attira a sé, poi la incoraggia a fare altrettanto e ora si getta pure lei a dorso, sotto lo sguardo attento di lui.
Questione di tre minuti ed è ancora lui, adesso ad abbracciarla stretta stretta, sembra non si stacchino più. Continuano con questo gioco del lasciarsi e del riprendersi.Mi fa bene guardarli, sento che con queste visioni si può ancora credere che l’amore esiste e può tutto. Esistono loro due soli al centro dell’universo, esistono due esseri che si amano, si cercano, si desiderano.
Ora stanno uscendo lentamente e si avvicinano mano nella mano. Si stendono e incuranti di tutto si sussurrano qualcosa, forse si giurano amore eterno, stanno ora scrivendo delle parole sulla sabbia; magari una data o semplicemente un’ora: l’ora del tramonto de settembre. Un attimo eterno. Perché no?
Un ragazzino si avvicina e mi fa vedere dentro un secchiello un anemone di mare appena trovato. E’ un piccolo coso marrone, con dei tentacoli leggeri che si muovono debolmente. Non ne avevo mai visti.
Lo fa vedere anche ai due ragazzi stesi a terra, i quali sorridono e ritornano vicini. Hanno tante cose da dirsi.
Fra cent’anni prevedo, saranno ancora qui a sussurrarsi eterno amore. Le eccezioni esistono e loro hanno tutti i requisiti per arrivarci.
Anche Andrea, con la tavola rossa remando si avvicina; le due mamme che tengono stretti i loro bambini sorridono assieme a loro, allontanarsi per un po’ dalla terra ferma ha fatto bene; l’acqua verde bottiglia in cui hanno immerso i piedi al largo è risultata benefica; il ragazzo pieno di vita, nei suoi vent’anni ci ha fatto trascorrere ore liete e gaie a tutti noi. L’orologio del campanile a piccoli mattoncini rossi della basilica di Grado, sta battendo sei colpi.
Le barche della scuola di vela stanno rientrando, gli ultimi nuotatori si avvicinano a poderose bracciate, i soliti gabbiani si posano a salutare, emettendo grida di arrivederci; la ragazza dalla pelle diafana sta accarezzando la spalla del suo uomo.
Quella canzone di una volta diceva: “Il tramonto è l’ora dell’amore!”
Il cielo è ora infuocato, assomiglia all’amore di questi due ragazzi che mi hanno fatto capire delle meraviglie che ci sono nella terra. Basta saperle cogliere!
(Giovanna Graziana)