Il
M o c o l o (IL CHIERICHETTO)
Gimo
avrà avuto 20 anni , insegnava “teoria e pratica” ai prossimi
“Mocoli” di Lugo.
Alla
lezione del giorno prima non ero riuscito a dire bene
“cristeeleison” e volevo ritirarmi dal corso, troppo impegnativo,
anche se avevo già sei anni.
Gimo
si sedette con me sulla panca e non so che cosa mi abbia detto, ma
lo seguii in patronato, dove, tenendomi per mano, mi riportò.
A
inizio ottobre ufficialmente cominciai, alla festa del Rosario, la
mia carriera di Mocolo.
Inizialmente
non avevo nessun incarico: solo sedermi ordinato con le mani sopra le
ginocchia, come faceva Don Antonio. Sulle balaustre dovevo: alzarmi
con le mani giunte e, quando suonava il campanello, inginocchiarmi.
Da questa ultima posizione non vedevo nulla perché la balaustra di
legno era più alta dei miei occhi, ma tanto bisognava lo stesso
abbassare la testa quando si sentiva “hoc est enim corpus meus”,
o qualche cosa di simile. Dopo un po’ il campanello suonava tre
volte e allora si poteva alzare la testa e solo allora restavo
fregato perché vedevo solo il legno e i libretti in latin che erano
lì riposti. In un libretto era scritto : “Lodi, vesperi e compieta
e mi pare anche mattutini”. Io pensano che compieta fosse una
parola sbagliata e il titolo giusto doveva essere “completa lodi e
vesperi”. Ma non l’ho mai detto a nessuno.
Gimo
ci aveva insegnato bene . Lui poi andò a studiare da Prete a Padova.
Gimo aveva i capelli rossi, era alto e aveva gli occhi che parlavano
da soli. Era buono Gimo . Quando ritornava a Lugo Lo rincorrevo
sempre, nel piazzale della Chiesa, per salutarlo. Gimo Maino , anche
oggi vado a trovarlo e la Sua foto ha gli stessi occhi: che parlano
e sorridono.
Servire
Messa non era cosa semplice,all’inizio. Intanto bisognava decidere
chi serve da Primo e chi da Secondo. Le regole erano di due Tipi: la
prima, più democratica: chi arrivava prima in sacrestia; la seconda
più realistica: il mocolo più vecchio. Poi eventualmente, se non
c’era accordo decideva Don Antonio Pasin. No, Don Eugenio no, Lui
non si occupava dei dettagli logistici dei Mocoli: era Arciprete, si
vedeva anche dal Cappello a Tre punte con al centro un fiocco di
colore tra il rosso e il viola.
Il
Mocolo che serviva da primo aveva gli incarichi più prestigiosi e
soprattutto suonava il campanello quando il prete metteva le due
mani, con le braccia tese, sopra il calice e la particola: lì
bisognava stare attenti e non valeva niente ricordarsi le parole
delle preghiere , perché, quasi a fare apposta cambiavano sempre:
c’erano messe in cui le mani venivano poste quasi subito sopra il
calice e altre dove si doveva stare attenti anche cinque minuti prima
di suonare il campanello. Forse dipendeva dal prete: se aveva poco o
tanto tempo, pensavo io, per finire la messa e dire “itemissaest”.
Se
Don Antonio ti chiedeva di andare, tutte le mattine, dal lunedì al
sabato, a “messaprima”, era come un ingaggio. Il sabato, l’ultimo
giorno, tirava fuori “dalle sue tasche” un pezzo da 500 lire,
d’argento : era la paga del mocolo per aver servito, da primo e da
secondo, perché eri da solo, una settimana alla messaprima, alle sei
e mezza di mattino. Di solito Don Antonio chiamava sempre Marieto
Lievore, che abitava al Sioggio. Dopo Marieto è andato ad abitare
verso Treviso e allora anche io ho servito messa prima.
Cosa
molto più impegnativa erano le “Funsion” che la domenica
pomeriggio alla presenza di tanti mocoli e poca gente, Don Eugenio
teneva con medioevale solennità.
“Tantumergosacramento”
era la parte iniziale e solistica del Dal Santo: poi una esplosione
di voci bianche dei mocoli e di vecchie Signore proseguiva il canto.
Conveniva
andare alle funsion, perché potevi essere scelto per portare la
candela, ma non era molto prestigioso, oppure la navicella, meglio
ancora se portavi “ el fogo” o turibolo. Se facevi il
cerimoniere era il massimo perché oltre a togliere la navicella
all’altro mocolo e porgerla all’arciprete che, con un bel
guciareto, che spuntava fuori da una delle due ali della navicella,
metteva uno, massimo due volte un po’ di incenso nel turibolo par
infumentare tutto, ma il profumo era buono, quando il fumo si era
disperso,per il cerimoniere il compito che rimaneva da svolgere era
oltremodo difficile. L’arciprete prendeva il Santissimo per la
benedizione, ma prima il cerimoniere andava sulla balaustra dove il
Sacrestan, Joani, aveva ben posizionato uno strano indumento , a
prima vista un grande rettangolo lungo e stretto di stoffa finemente
ricamata ed intarsiata di rilievi in filo dorato. Quell’indumento,
di cui mi sfugge il corretto nome, bisognava metterlo a Don
Eugenio, con precisione, al primo colpo, tra la coppa e l’inizio
della cerega. Don Eugenio non faceva niente e non andava avanti con
la benedixion, se quella operazione non fosse perfetta. Talvolta si
girava verso il Cerimoniere e lo guardava con occhi che incutevano
“divinterrore”. Io ho fatto poche volte il cerimoniere anche
perché avevo una bella voce e Don Eugenio mi portava a fianco a Lui
su uno scagno a cantare i salmi. Era fortunato chi dietro aveva il
paterno sostegno di Don Antonio: con Lui era difficile sbagliare nota
e parole.
Particolare
attenzione si verificava fuori dalla scena ufficiale del presbiterio,
in sacrestia, per accendere il turibolo. Avvolte in carta, come
quella che ancora oggi si adopera per fare i cilindretti delle monete
delle offerte, c’erano delle “rotelle“ di carbone. Se non era
presente Giovanni, il sacrestano, ne prendevamo una intera, sennò
solo mezza. Con un cerino si appiccava il fuoco alla carbonella che
faceva solo belle scintille. La rotellina si metteva dentro al
turibolo dove c’era vera carbonella di rametti di legna e a forza
di roteare (e da questa operazione si capiva la vera professionalità
del mocolo), si accendeva tutto e si era pronti perché Don Eugenio
ci mettesse l’incenso e infumentasse la chiesa.
Dopo
le funsion il vantaggio era evidente: si andava al cinema in
patronato senza pagare il biglietto. A dire il vero Don Valentino,
qualche sospetto lo aveva; non tutti i mocoli che entravano al cinema
erano stati alle funsion. Nessuno però ha mai fatto la spia, tanto
prima o dopo capitava a tutti: una vera solidarietà della categoria
dei Mocoli.
IL
Maestro Maino era sicuramente connivente con Don Antonio: il
sabato mattina c’erano i matrimoni: la tredicesima del mocolo !
Verso
le nove e mezza, spesso, si sentiva bussare la porta della classe e
entrava Don Antonio, chiedeva se per caso io o qualche altro
compagno di classe, Gianpietro, Luca,
Luciano,
ma quasi mai Renato ( perché , sebbene anche Lui mocolo, aveva già
un altro compito: andare da Ambrosini a comperare le sigarette per
suo Zio Maestro) potevamo uscire da scuola e andare a fare il mocolo
ai matrimoni: Minimo, ma dico minimo , i compari ci davano una carta
da mille!
Don
Antonio ogni fine anno ci portava in gita: aveva una ottoecinquanta
special, ci teneva a dire che era 900 di cilindrata, era bianca:
salivamo in otto. Ad accompagnarlo, con una millecento, spesso c’era
anche Luigi Peltran. La gita che ancora ricordo in assoluto tra le
più belle : le torri del Vajolet.. e le Tre Cime di Lavaredo, in
questa ultima occasione mi pare che un accompagnatore fosse stato un
futuro sindaco di Lugo.
Questo
faceva senz’altro parte della categoria dei lettori: Ricordo che
sul presbiterio, Gianpietro , Augusto, ma specialmente il Sig.
Silverio, non solo con trasporto, leggevano le letture, ma, con
delicatezza, accompagnavano con parole loro l’avanzare delle fasi
della Messa.
D’estate
liberi da scolastici elementari impegni, il mercoledì, chi poteva,
andava all’asilo dove dietro la saracinesca al primo piano, c’era
un bell’altare, che si vedeva sia dalla sala, che dall’ aula
davanti. Messa per le suore, ma dopo… sulla piccola terrazza fuori
dall’ abitazione delle suore, la Serappia e la Teresilia con la
Superiora (Palmira ?) ci preparavano la cioccolata calda, con i
ritagli delle particole: mai mangiato niente di più buono.
Suor
Teresilia, per un bellissimo gioco del destino, l’ho reincontrata
alla casa Madre di Verona delle Sorelle della Misericordia, dove era
ricoverata anche una mia zia Suora che andavo a trovare: Suor
Tersilia, piccola, piccola, era nella camera a fianco di mia Zia.
Saputo che gente di Lugo erano venuti a trovare Suor Guidalma
Rizzato, venne verso di me mi chiese notizie di non so più quante
persone di Lugo. La strinsi forte a me e, senza che se ne accorgesse,
piansi tanto : di una gioia ancora di bimbo.
Alessio
Rizzato
Lugo,
20. gennaio 2014 – Mattino e pomeriggio fino ore 15,15
Cara Arianna, questi veri racconti sono molto appassionati, è un ricordo che rimane per sempre nel cuore. Ciao e buon fine settimana, con un sorriso.
RispondiEliminaTomaso
Con un sorriso...buona domenica!
EliminaCara amica,anch'io come quasi tutti i ragazzini di quegli anni,(sono del °50) ,spinto da mia madre,mi sono avvicinato alla parrocchia,ma quando, dopo anni di frequentazioni ho capito,sono diventato non credente.
RispondiEliminaFelice week and,fulvio
Beh, ognuno ha giustamente i suoi percorsi ed esperienze di vita!
EliminaBaci.
Un bel pezzo di un passato che forse non c'è più. Ho letto con interesse perchè le bambine un tempo non erano considerate degne di stare sull'altare. Che cosa terribile.
RispondiEliminaBuon fine settimana.
Ne ho viste chierichette femmine.....non so se ora ci sono disposizioni diverse e si sia ritornati al passato....cioè che possano accedere solo i maschietti...
EliminaBuona domenica!
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