sabato 1 marzo 2014

RACCONTO VERO ORIGINALISSIMO "IL MOCOLO O CHIERICHETTO" DI MIO COGNATO ALESSIO RIZZATO...RICORDO ANCH'IO QUESTI MOMENTI DI VITA A LUGO DI VICENZA


Il M o c o l o (IL CHIERICHETTO)
 



Gimo avrà avuto 20 anni , insegnava “teoria e pratica” ai prossimi “Mocoli” di Lugo.



Alla lezione del giorno prima non ero riuscito a dire bene “cristeeleison” e volevo ritirarmi dal corso, troppo impegnativo, anche se avevo già sei anni.



Gimo si sedette con me sulla panca e non so che cosa mi abbia detto, ma lo seguii in patronato, dove, tenendomi per mano, mi riportò.



A inizio ottobre ufficialmente cominciai, alla festa del Rosario, la mia carriera di Mocolo.

Inizialmente non avevo nessun incarico: solo sedermi ordinato con le mani sopra le ginocchia, come faceva Don Antonio. Sulle balaustre dovevo: alzarmi con le mani giunte e, quando suonava il campanello, inginocchiarmi. Da questa ultima posizione non vedevo nulla perché la balaustra di legno era più alta dei miei occhi, ma tanto bisognava lo stesso abbassare la testa quando si sentiva “hoc est enim corpus meus”, o qualche cosa di simile. Dopo un po’ il campanello suonava tre volte e allora si poteva alzare la testa e solo allora restavo fregato perché vedevo solo il legno e i libretti in latin che erano lì riposti. In un libretto era scritto : “Lodi, vesperi e compieta e mi pare anche mattutini”. Io pensano che compieta fosse una parola sbagliata e il titolo giusto doveva essere “completa lodi e vesperi”. Ma non l’ho mai detto a nessuno.



Gimo ci aveva insegnato bene . Lui poi andò a studiare da Prete a Padova. Gimo aveva i capelli rossi, era alto e aveva gli occhi che parlavano da soli. Era buono Gimo . Quando ritornava a Lugo Lo rincorrevo sempre, nel piazzale della Chiesa, per salutarlo. Gimo Maino , anche oggi vado a trovarlo e la Sua foto ha gli stessi occhi: che parlano e sorridono.





Servire Messa non era cosa semplice,all’inizio. Intanto bisognava decidere chi serve da Primo e chi da Secondo. Le regole erano di due Tipi: la prima, più democratica: chi arrivava prima in sacrestia; la seconda più realistica: il mocolo più vecchio. Poi eventualmente, se non c’era accordo decideva Don Antonio Pasin. No, Don Eugenio no, Lui non si occupava dei dettagli logistici dei Mocoli: era Arciprete, si vedeva anche dal Cappello a Tre punte con al centro un fiocco di colore tra il rosso e il viola.

Il Mocolo che serviva da primo aveva gli incarichi più prestigiosi e soprattutto suonava il campanello quando il prete metteva le due mani, con le braccia tese, sopra il calice e la particola: lì bisognava stare attenti e non valeva niente ricordarsi le parole delle preghiere , perché, quasi a fare apposta cambiavano sempre: c’erano messe in cui le mani venivano poste quasi subito sopra il calice e altre dove si doveva stare attenti anche cinque minuti prima di suonare il campanello. Forse dipendeva dal prete: se aveva poco o tanto tempo, pensavo io, per finire la messa e dire “itemissaest”.



Se Don Antonio ti chiedeva di andare, tutte le mattine, dal lunedì al sabato, a “messaprima”, era come un ingaggio. Il sabato, l’ultimo giorno, tirava fuori “dalle sue tasche” un pezzo da 500 lire, d’argento : era la paga del mocolo per aver servito, da primo e da secondo, perché eri da solo, una settimana alla messaprima, alle sei e mezza di mattino. Di solito Don Antonio chiamava sempre Marieto Lievore, che abitava al Sioggio. Dopo Marieto è andato ad abitare verso Treviso e allora anche io ho servito messa prima.



Cosa molto più impegnativa erano le “Funsion” che la domenica pomeriggio alla presenza di tanti mocoli e poca gente, Don Eugenio teneva con medioevale solennità.

Tantumergosacramento” era la parte iniziale e solistica del Dal Santo: poi una esplosione di voci bianche dei mocoli e di vecchie Signore proseguiva il canto.

Conveniva andare alle funsion, perché potevi essere scelto per portare la candela, ma non era molto prestigioso, oppure la navicella, meglio ancora se portavi “ el fogo” o turibolo. Se facevi il cerimoniere era il massimo perché oltre a togliere la navicella all’altro mocolo e porgerla all’arciprete che, con un bel guciareto, che spuntava fuori da una delle due ali della navicella, metteva uno, massimo due volte un po’ di incenso nel turibolo par infumentare tutto, ma il profumo era buono, quando il fumo si era disperso,per il cerimoniere il compito che rimaneva da svolgere era oltremodo difficile. L’arciprete prendeva il Santissimo per la benedizione, ma prima il cerimoniere andava sulla balaustra dove il Sacrestan, Joani, aveva ben posizionato uno strano indumento , a prima vista un grande rettangolo lungo e stretto di stoffa finemente ricamata ed intarsiata di rilievi in filo dorato. Quell’indumento, di cui mi sfugge il corretto nome, bisognava metterlo a Don Eugenio, con precisione, al primo colpo, tra la coppa e l’inizio della cerega. Don Eugenio non faceva niente e non andava avanti con la benedixion, se quella operazione non fosse perfetta. Talvolta si girava verso il Cerimoniere e lo guardava con occhi che incutevano “divinterrore”. Io ho fatto poche volte il cerimoniere anche perché avevo una bella voce e Don Eugenio mi portava a fianco a Lui su uno scagno a cantare i salmi. Era fortunato chi dietro aveva il paterno sostegno di Don Antonio: con Lui era difficile sbagliare nota e parole.



Particolare attenzione si verificava fuori dalla scena ufficiale del presbiterio, in sacrestia, per accendere il turibolo. Avvolte in carta, come quella che ancora oggi si adopera per fare i cilindretti delle monete delle offerte, c’erano delle “rotelle“ di carbone. Se non era presente Giovanni, il sacrestano, ne prendevamo una intera, sennò solo mezza. Con un cerino si appiccava il fuoco alla carbonella che faceva solo belle scintille. La rotellina si metteva dentro al turibolo dove c’era vera carbonella di rametti di legna e a forza di roteare (e da questa operazione si capiva la vera professionalità del mocolo), si accendeva tutto e si era pronti perché Don Eugenio ci mettesse l’incenso e infumentasse la chiesa.

Dopo le funsion il vantaggio era evidente: si andava al cinema in patronato senza pagare il biglietto. A dire il vero Don Valentino, qualche sospetto lo aveva; non tutti i mocoli che entravano al cinema erano stati alle funsion. Nessuno però ha mai fatto la spia, tanto prima o dopo capitava a tutti: una vera solidarietà della categoria dei Mocoli.



IL Maestro Maino era sicuramente connivente con Don Antonio: il sabato mattina c’erano i matrimoni: la tredicesima del mocolo !

Verso le nove e mezza, spesso, si sentiva bussare la porta della classe e entrava Don Antonio, chiedeva se per caso io o qualche altro compagno di classe, Gianpietro, Luca,

Luciano, ma quasi mai Renato ( perché , sebbene anche Lui mocolo, aveva già un altro compito: andare da Ambrosini a comperare le sigarette per suo Zio Maestro) potevamo uscire da scuola e andare a fare il mocolo ai matrimoni: Minimo, ma dico minimo , i compari ci davano una carta da mille!



Don Antonio ogni fine anno ci portava in gita: aveva una ottoecinquanta special, ci teneva a dire che era 900 di cilindrata, era bianca: salivamo in otto. Ad accompagnarlo, con una millecento, spesso c’era anche Luigi Peltran. La gita che ancora ricordo in assoluto tra le più belle : le torri del Vajolet.. e le Tre Cime di Lavaredo, in questa ultima occasione mi pare che un accompagnatore fosse stato un futuro sindaco di Lugo.

Questo faceva senz’altro parte della categoria dei lettori: Ricordo che sul presbiterio, Gianpietro , Augusto, ma specialmente il Sig. Silverio, non solo con trasporto, leggevano le letture, ma, con delicatezza, accompagnavano con parole loro l’avanzare delle fasi della Messa.



D’estate liberi da scolastici elementari impegni, il mercoledì, chi poteva, andava all’asilo dove dietro la saracinesca al primo piano, c’era un bell’altare, che si vedeva sia dalla sala, che dall’ aula davanti. Messa per le suore, ma dopo… sulla piccola terrazza fuori dall’ abitazione delle suore, la Serappia e la Teresilia con la Superiora (Palmira ?) ci preparavano la cioccolata calda, con i ritagli delle particole: mai mangiato niente di più buono.

Suor Teresilia, per un bellissimo gioco del destino, l’ho reincontrata alla casa Madre di Verona delle Sorelle della Misericordia, dove era ricoverata anche una mia zia Suora che andavo a trovare: Suor Tersilia, piccola, piccola, era nella camera a fianco di mia Zia. Saputo che gente di Lugo erano venuti a trovare Suor Guidalma Rizzato, venne verso di me mi chiese notizie di non so più quante persone di Lugo. La strinsi forte a me e, senza che se ne accorgesse, piansi tanto : di una gioia ancora di bimbo.



Alessio Rizzato

Lugo, 20. gennaio 2014 – Mattino e pomeriggio fino ore 15,15

11 commenti:

  1. Cara Arianna, questi veri racconti sono molto appassionati, è un ricordo che rimane per sempre nel cuore. Ciao e buon fine settimana, con un sorriso.
    Tomaso

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  2. Cara amica,anch'io come quasi tutti i ragazzini di quegli anni,(sono del °50) ,spinto da mia madre,mi sono avvicinato alla parrocchia,ma quando, dopo anni di frequentazioni ho capito,sono diventato non credente.
    Felice week and,fulvio

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    1. Beh, ognuno ha giustamente i suoi percorsi ed esperienze di vita!
      Baci.

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  3. Un bel pezzo di un passato che forse non c'è più. Ho letto con interesse perchè le bambine un tempo non erano considerate degne di stare sull'altare. Che cosa terribile.
    Buon fine settimana.

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    1. Ne ho viste chierichette femmine.....non so se ora ci sono disposizioni diverse e si sia ritornati al passato....cioè che possano accedere solo i maschietti...
      Buona domenica!

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