RITRATTO DI DONNA. IL SOGNO DEGLI ANNI VENTI E LO SGUARDO DI UBALDO OPPI
Ubaldo Oppi (Bologna 1889-Vicenza 1942) fu allievo di Klimt.
Donna con vaso - Ubaldo Oppi
E si può ammirare anche "Giuditta II" (Salomé) di Gustav Klimt.
Particolare del quadro di Klimt
La donna operosa ha sempre molto..tempo libero (proverbio trentino)
sabato 30 novembre 2019
giovedì 28 novembre 2019
Racconto di Giovanna Grazian
Pupillo - La bambina della Località Porta Rustica tra Fara Vicentino e Lugo di Vicenza, ai piedi delle ville palladiane.
RACCONTO DI GIOVANNA GRAZIAN
La bambina era nata quando più nessuno se l'aspettava!
Dopo quattro maschi e con sei anni di distanza dall'ultimo nato, le avevano dato il nome della signora padrona.
Così suo fratello maggiore portava il nome del marito: il signor Conte!
Era la riconoscenza verso i signori di cui il padre era dipendente: più precisamente nel ruolo di 'castaldo', si usava questo vocabolo allora, ora si dice 'fattore'.
In compenso i conti l'avrebbero sempre chiamata 'Pupillo' ed erano stati i suoi padrini di battesimo. Altre fortune la bambina non ne aveva avute, se non quella di essere sopravvissuta a tanti fatti accidentali successi nei primi anni della sua esistenza.
Tutto procedeva per il meglio nella casa sulla strada che fiancheggiava l'immensa proprietà dei signori. Il suo papà era benvoluto dai conti, un po' meno dai suoi subalterni, cioè i lavoranti a giornata. Si occupava di tutto ciò che riguardava l'andamento delle coltivazioni e i rapporti con i braccianti; in primavera accompagnava direttamente il conte per i campi con il calesse. Dava consigli con la sua esperienza sui tempi delle semine, dei raccolti e sull'allevamento del bestiame. Accettava consigli e suggerimenti per gestire al meglio i terreni segnalando al signor Conte qualsiasi anomalia.
Dapprima si lavorava con un contratto di affitto, un tanto al campo, più tardi a mezzadria e tutto ciò che si raccoglieva veniva diviso a metà: trenta campi in pianura e in collina, con tutte le difficoltà delle fatiche manuali. Solo i buoi alleviavano un poco gli uomini dai pesanti lavori estivi come girare le zolle, tagliare il fieno, raccoglierlo in breve se il temporale avanzava impetuoso e minacciava di mandare all'aria tutta la fatica.
E poi ancora il taglio del frumento, del granoturco, la vendemmia e le bestie...i momenti drammatici del parto, con il veterinario avvisato troppo tardi o introvabile di notte, la drammatica paura quando le mucche si ammalavano.
Lui, il castaldo doveva riferire al signor conte l'andamento
dell'azienda agricola, anche le perdite degli animali, la scarsità dei raccolti a causa delle cattive condizioni atmosferiche ed eventuali manchevolezze o errori dei singoli contadini.
Alcuni braccianti non approvavano l'agire di papà. Pupillo questo lo seppe più tardi, quando di lui era rimasta solo una foto sul comò nella camera ...... Quel lunedì di gennaio con la moto era a Thiene al mercato del bestiame per trattare la vendita di una mucca.
In paese solo lui e il dottore possedevano la moto.
A Zugliano in una curva successe il peggio: l'impatto con un camion. Si salvò la bambola, la prima e ultima bambola con il visetto di porcellana e il corpo di pezza destinata alla bambina
Pupillo di appena tre anni.
La fortuna della famiglia subì a quel punto un arresto.
La mamma con poca esperienza non poteva governare il tutto con il figlio maggiore di vent'anni.
Più tardi a Pupillo fu raccontato che una mattina di ottobre, quando i lavori erano febbrili l'avevano trovata addormentata in un avvallo di terreno vicino a un letamaio: la mamma era così stanca da non essersi neppure accorta della sua assenza nel letto. Altre volte non la trovava perché nascosta in mezzo alle foglie del 'moraro'- il gelso - destinate ai bachi da seta.
Oltre al compito assunto nelle vesti del papà, la mamma badava ai bachi da seta.
Tutte le famiglie allora avevano questa occupazione in primavera. Serviva quale prima entrata di denari preziosi, dopo la lunga stagione invernale priva di risorse. il lavoro era così intenso da perdere la cognizione dei bisogni primari.
La mamma ce la mise tutta per drizzare la barca che stava affondando, ma alla fine si convinse che faceva acqua da tutte le parti. I conti nella bella stagione arrivavano in villa, per soggiornarvi tutto il periodo estivo, prolungato fino all'ultima raccolta dell'uva. La mamma faceva passare la piccola attraverso le lance di ferro del grande cancello inferiore alla villa, che confinava con la casa prestata loro, fatta costruire dai conti appositamente per il fattore. Lei entrava con il cestino contenente le uova fresche da portare in villa dove dall'altra parte spaziavano lo sguardo parenti, amici e artisti estasiati da tanta bellezza: tutti increduli e appagati dal panorama.
Nelle giornate limpide si scorgeva la basilica di Monte Berico e più giù la laguna di Venezia. Pupillo ricorda perfettamente quei momenti: la cameriera aveva l'ordine ferreo di controllare le uova attraverso un cerchio di rame e se passavano facilmente venivano riposte nel cestino e rimandate alla mamma, perché non adatte ad essere presentate alla tavola dei signori.
La bambina capì solo più tardi la mortificazione della mamma, così le caramelle datele dalla contessa, però perdevano il loro sapore dolce.
A volte si fermava a giocare con i nipotini ospiti o a guardare chi giocava nel campo da tennis a fianco delle scuderie. I suoi fratelli erano intenti alla sistemazione dei viali, colpevolizzati per non essere stati solerti nei tempi stabiliti. Ogni mezzadro doveva provvedere a inghiaiare un pezzo di viale.
Con i buoi scendevano al torrente Astico per recuperare la ghiaia con cui sistemare a dovere la loro porzione di vialetto, così da permettere alle eleganti carrozze di transitare in un fondo ben curato.
Per Pupillo avevano tutti un atteggiamento di riguardo. Lei lo percepiva da tanti gesti e attenzioni, forse per il fatto che portava il nome della contessa che non aveva figlie femmine o perché era orfana di padre. I suoi fratelli assieme alla mamma decisero che doveva studiare.
<< Possibile si interrogavano, che quattro fratelli non riescano a far studiare la sorella più piccola? >>
Con enormi sacrifici Pupillo ce la fece. Sempre con la sua bicicletta percorreva i diciotto kilometri (andata e ritorno) per arrivare alla scuola privata, che l'avrebbe resa consapevole
del trattamento diverso riservatole: chi apparteneva alla classe povera già sarebbe stato penalizzato.
Con rinunce inaudite si diplomò e all'esame di Stato - svoltosi a Vicenza - , da Thiene si recò con altre compagne in 'littorina'.
Alla stazione una sua compagna tolse dalla borsa due banane, offrendogliene una.
Pupillo guardò l'amica mentre toglieva la buccia e poi assaggiò il frutto mai visto prima.
Si recò quindi, tutta euforica alla villa, residenza stabile dei conti in città, per manifestare loro la sua gioia di aver completato gli studi.
Con disappunto trovò solo le contessine, sorelle del 'Santolo', Padrino di battesimo.
<<Ho finito - disse Pupillo - adesso spero mi aiuterete a trovare un piccolissimo posto>>.
<<Hai fatto male a studiare - le risposero - dovevi lavorare la terra e lasciar studiare le cittadine che hanno solo le mura >>.
Queste affermazioni lasciarono Pupillo senza parole, si sentiva in preda allo sbigottimento più inaspettato, dopo tutte le fatiche sentirsi umiliata oltre ogni dire...
Suo padre prima di morire aveva acquistato due campi, che i fratelli vendettero per pagarsi il viaggio ed emigrare nel continente, cosiddetto nuovissimo: l'Australia.
Il "Santolo" conte, in seguito, dopo ripetute visite disperate di Pupillo, dette alla fine effettivamente la spintarella per il fatidico posto di impiegata che ella conservò fino alla pensione. Lavorò come una forsennata, assolvendo il compito con rigore estremo, conscia che la vita è una cosa bella, ma carica di difficoltà.
I suoi fratelli non videro mai più la mamma, lavorarono forse ancora di più che al paese in terra vicentina, per farsi un avvenire appena discreto. Pupillo lo accertò quando, appena maturata la pensione, trasvolò da loro in visita. Con tanta nostalgia del paese lasciato, con grande amarezza per la terra dei conti lavorata dall'alba al tramonto. Lunghi anni di sudori suoi e del padre per pagare loro il viaggio ed emigrare lontano...
Io e le mie sorelle Tina e Patrizia, qualche tempo fa, davanti al mio quadro ad olio ispirato alla casa della Località Porta Rustica, casa che, alcuni giorni fa, è stata distrutta da un violento incendio.
RACCONTO DI GIOVANNA GRAZIAN
La bambina era nata quando più nessuno se l'aspettava!
Dopo quattro maschi e con sei anni di distanza dall'ultimo nato, le avevano dato il nome della signora padrona.
Così suo fratello maggiore portava il nome del marito: il signor Conte!
Era la riconoscenza verso i signori di cui il padre era dipendente: più precisamente nel ruolo di 'castaldo', si usava questo vocabolo allora, ora si dice 'fattore'.
In compenso i conti l'avrebbero sempre chiamata 'Pupillo' ed erano stati i suoi padrini di battesimo. Altre fortune la bambina non ne aveva avute, se non quella di essere sopravvissuta a tanti fatti accidentali successi nei primi anni della sua esistenza.
Tutto procedeva per il meglio nella casa sulla strada che fiancheggiava l'immensa proprietà dei signori. Il suo papà era benvoluto dai conti, un po' meno dai suoi subalterni, cioè i lavoranti a giornata. Si occupava di tutto ciò che riguardava l'andamento delle coltivazioni e i rapporti con i braccianti; in primavera accompagnava direttamente il conte per i campi con il calesse. Dava consigli con la sua esperienza sui tempi delle semine, dei raccolti e sull'allevamento del bestiame. Accettava consigli e suggerimenti per gestire al meglio i terreni segnalando al signor Conte qualsiasi anomalia.
Dapprima si lavorava con un contratto di affitto, un tanto al campo, più tardi a mezzadria e tutto ciò che si raccoglieva veniva diviso a metà: trenta campi in pianura e in collina, con tutte le difficoltà delle fatiche manuali. Solo i buoi alleviavano un poco gli uomini dai pesanti lavori estivi come girare le zolle, tagliare il fieno, raccoglierlo in breve se il temporale avanzava impetuoso e minacciava di mandare all'aria tutta la fatica.
E poi ancora il taglio del frumento, del granoturco, la vendemmia e le bestie...i momenti drammatici del parto, con il veterinario avvisato troppo tardi o introvabile di notte, la drammatica paura quando le mucche si ammalavano.
Lui, il castaldo doveva riferire al signor conte l'andamento
dell'azienda agricola, anche le perdite degli animali, la scarsità dei raccolti a causa delle cattive condizioni atmosferiche ed eventuali manchevolezze o errori dei singoli contadini.
Alcuni braccianti non approvavano l'agire di papà. Pupillo questo lo seppe più tardi, quando di lui era rimasta solo una foto sul comò nella camera ...... Quel lunedì di gennaio con la moto era a Thiene al mercato del bestiame per trattare la vendita di una mucca.
In paese solo lui e il dottore possedevano la moto.
A Zugliano in una curva successe il peggio: l'impatto con un camion. Si salvò la bambola, la prima e ultima bambola con il visetto di porcellana e il corpo di pezza destinata alla bambina
Pupillo di appena tre anni.
La fortuna della famiglia subì a quel punto un arresto.
La mamma con poca esperienza non poteva governare il tutto con il figlio maggiore di vent'anni.
Più tardi a Pupillo fu raccontato che una mattina di ottobre, quando i lavori erano febbrili l'avevano trovata addormentata in un avvallo di terreno vicino a un letamaio: la mamma era così stanca da non essersi neppure accorta della sua assenza nel letto. Altre volte non la trovava perché nascosta in mezzo alle foglie del 'moraro'- il gelso - destinate ai bachi da seta.
Oltre al compito assunto nelle vesti del papà, la mamma badava ai bachi da seta.
Tutte le famiglie allora avevano questa occupazione in primavera. Serviva quale prima entrata di denari preziosi, dopo la lunga stagione invernale priva di risorse. il lavoro era così intenso da perdere la cognizione dei bisogni primari.
La mamma ce la mise tutta per drizzare la barca che stava affondando, ma alla fine si convinse che faceva acqua da tutte le parti. I conti nella bella stagione arrivavano in villa, per soggiornarvi tutto il periodo estivo, prolungato fino all'ultima raccolta dell'uva. La mamma faceva passare la piccola attraverso le lance di ferro del grande cancello inferiore alla villa, che confinava con la casa prestata loro, fatta costruire dai conti appositamente per il fattore. Lei entrava con il cestino contenente le uova fresche da portare in villa dove dall'altra parte spaziavano lo sguardo parenti, amici e artisti estasiati da tanta bellezza: tutti increduli e appagati dal panorama.
Nelle giornate limpide si scorgeva la basilica di Monte Berico e più giù la laguna di Venezia. Pupillo ricorda perfettamente quei momenti: la cameriera aveva l'ordine ferreo di controllare le uova attraverso un cerchio di rame e se passavano facilmente venivano riposte nel cestino e rimandate alla mamma, perché non adatte ad essere presentate alla tavola dei signori.
La bambina capì solo più tardi la mortificazione della mamma, così le caramelle datele dalla contessa, però perdevano il loro sapore dolce.
A volte si fermava a giocare con i nipotini ospiti o a guardare chi giocava nel campo da tennis a fianco delle scuderie. I suoi fratelli erano intenti alla sistemazione dei viali, colpevolizzati per non essere stati solerti nei tempi stabiliti. Ogni mezzadro doveva provvedere a inghiaiare un pezzo di viale.
Con i buoi scendevano al torrente Astico per recuperare la ghiaia con cui sistemare a dovere la loro porzione di vialetto, così da permettere alle eleganti carrozze di transitare in un fondo ben curato.
Per Pupillo avevano tutti un atteggiamento di riguardo. Lei lo percepiva da tanti gesti e attenzioni, forse per il fatto che portava il nome della contessa che non aveva figlie femmine o perché era orfana di padre. I suoi fratelli assieme alla mamma decisero che doveva studiare.
<< Possibile si interrogavano, che quattro fratelli non riescano a far studiare la sorella più piccola? >>
Con enormi sacrifici Pupillo ce la fece. Sempre con la sua bicicletta percorreva i diciotto kilometri (andata e ritorno) per arrivare alla scuola privata, che l'avrebbe resa consapevole
del trattamento diverso riservatole: chi apparteneva alla classe povera già sarebbe stato penalizzato.
Con rinunce inaudite si diplomò e all'esame di Stato - svoltosi a Vicenza - , da Thiene si recò con altre compagne in 'littorina'.
Alla stazione una sua compagna tolse dalla borsa due banane, offrendogliene una.
Pupillo guardò l'amica mentre toglieva la buccia e poi assaggiò il frutto mai visto prima.
Si recò quindi, tutta euforica alla villa, residenza stabile dei conti in città, per manifestare loro la sua gioia di aver completato gli studi.
Con disappunto trovò solo le contessine, sorelle del 'Santolo', Padrino di battesimo.
<<Ho finito - disse Pupillo - adesso spero mi aiuterete a trovare un piccolissimo posto>>.
<<Hai fatto male a studiare - le risposero - dovevi lavorare la terra e lasciar studiare le cittadine che hanno solo le mura >>.
Queste affermazioni lasciarono Pupillo senza parole, si sentiva in preda allo sbigottimento più inaspettato, dopo tutte le fatiche sentirsi umiliata oltre ogni dire...
Suo padre prima di morire aveva acquistato due campi, che i fratelli vendettero per pagarsi il viaggio ed emigrare nel continente, cosiddetto nuovissimo: l'Australia.
Il "Santolo" conte, in seguito, dopo ripetute visite disperate di Pupillo, dette alla fine effettivamente la spintarella per il fatidico posto di impiegata che ella conservò fino alla pensione. Lavorò come una forsennata, assolvendo il compito con rigore estremo, conscia che la vita è una cosa bella, ma carica di difficoltà.
I suoi fratelli non videro mai più la mamma, lavorarono forse ancora di più che al paese in terra vicentina, per farsi un avvenire appena discreto. Pupillo lo accertò quando, appena maturata la pensione, trasvolò da loro in visita. Con tanta nostalgia del paese lasciato, con grande amarezza per la terra dei conti lavorata dall'alba al tramonto. Lunghi anni di sudori suoi e del padre per pagare loro il viaggio ed emigrare lontano...
sabato 23 novembre 2019
Ristorante "Remo" - Villa Cariolato 1879 - a Bertesina- Vicenza
22/XI/2019 - Presentazione, da parte di mio figlio, della figura illustre del garibaldino vicentino Domenico Cariolato che visse in questa dimora. Rosanna Capuano invece ha delineato la figura della moglie del Cariolato, Anna Maria Piccoli che fondò nel 1870 il primo Asilo Infantile proprio nella stessa località di Bertesina a Vicenza.
mercoledì 20 novembre 2019
domenica 17 novembre 2019
Disobbedienza
“L’atto di disobbedienza, in quanto atto di libertà, è l’inizio della ragione.” tratto da “Fuga dalla libertà” Erich Fromm (1900-1980)
sabato 9 novembre 2019
Immagini d'autunno di Giovanna Grazian
Immagini d’autunno di Giovanna Grazian
E’ autunno ormai inoltrato. Un autunno anomalo: i segnali che annunciano l'inverno non si notano al mattino, quando solitamente l’abituale brezza fa sbattere porte e finestre appena si aprono per il breve giro d’aria.
E’ tutto tranquillo: la temperatura è mite, le foglie che cadono però aumentano e il selciato ne contiene un tappeto di tutti i colori, dal giallo oro al marrone testa di moro, molte sono rosse bordeaux, del colore del mosto e delle vinacce.
Un proverbio locale recita così: ’ Spassàr foje, bàtare le noxe e téndare le toxe xe laoro sprecà’, nel senso che è meglio aspettare che le foglie e le noci cadano tutte prima di raccoglierle, perché l’indomani l’operazione andrebbe ripetuta; in quanto alle figlie, anche se le controlli - se vogliono - trovano il momento per la scappatella.
Questa mattina l'aria è pulita più del solito; un breve temporale, anch’esso anomalo, ieri ha imperversato nella tarda mattinata nella fascia pedemontana sotto i monti Paù, Cengio e Summano.
Le campane instancabili battono il Mattutino; ho acceso la luce e la sveglia segna le sei e mezzo; ho contato più di trenta rintocchi.
Altri strani rintocchi, non collegabili ai soliti, mi lasciano senza risposte: forse sono per qualche Santo che merita di essere ricordato o per un avvenimento locale che sfugge alla mia memoria?
La dipartita terrena è annunciata con le campane a morto verso il mezzogiorno.
A Caltrano, fino a poco tempo fa, suonavano pure per ogni neonato che veniva registrato in Comune.
Dopo quattro cambi di domicilio, riscontro in questa casa due grandi pregi: le imposte rivolte al sorgere del sole assicurano una luce intensa per tutto il giorno; sono circondata da frutteti e orti davanti e dietro, tanto da avere la sensazione di essere capitata nel posto più rilassante; il verde mi circonda, il vivere convulso del traffico non lo percepisco: se guardo a nord la vegetazione fitta è nitida ed è visibile fin alle propaggini dell'altopiano.
Le campane sono sempre in azione con il battito deciso, ho l'impressione che qualche volta cambino l'intensità del suono, perché a seconda delle condizioni atmosferiche si sentono più o meno vicine.
Di sicuro, questo sarà per me l'ultimo domicilio, già sento la stagione che si sta avviando verso l'autunno della vita; fortunatamente il posto è il più consono: quiete e natura ideali per meditare.
Le campane di Caltrano sono a nord, separate dal fiume Astico, in linea d'aria trecento metri, quelle di Chiuppano sono più o meno alla stessa distanza, ma ad est.
E’ tutto un lavorio di competizione tra loro e io, nuova del posto, cerco di capire la provenienza dei vari rintocchi e di non confondere i vari suoni.
Ci sono stormi d’uccelli in gran movimento a interessare e a confondere il mio orecchio che mi segnala qualche deficit in arrivo...
Loro, sicuramente in fermento per la partenza, si richiamano, complottano il percorso e il capo pretende assoluta obbedienza e ascolto.
Ci sono tuttavia i ribelli, i ‘nati-liberi’ che sono sotto la mia finestra: saltellano e danzano in punta di zampa sulle foglie di ciliegio.
Devono avere un orecchio buono, perché ad ogni scricchiolio hanno uno scatto fulmineo e si spostano, sospettando pericoli in arrivo a destra e a manca.
E’ tutto un batter d’ali: le foglie gialle danzano leggere e loro si mettono in mezzo, quasi ad ostacolarne la caduta senza sosta; saltellano anch’essi leggeri cercando di fermare il carillon che sembra composto da ali gialle.
Mi chiedo se magari i passeri credano possa trattarsi di esseri viventi anziché di foglie.
Sto lì al davanzale parecchi minuti: ammutolita, osservo sbalordita, non fiato.
Ogni tanto una foglia si stacca, gira su se stessa, fa una piroetta e una giravolta e infine si arrende adagiandosi a terra.
Il capobanda continua a richiamare gli irriducibili fino a minacciarli, dà loro l’ultimatum e poi si farà il processo per intenzione d’abbandono...
Immagino che fra poco, quando l’ultima foglia smetterà di danzare, il frutteto sembrerà un camposanto d’inverno, abbandonato anche dal passero più stanco.
Noto che ci sono tante palline marrone attaccate al nespolo, un frutto dimenticato che nessuno più raccoglie e restano anche due cachi in cima alle punte della pianta ormai scheletrita.
Attaccata ai vetri noterò, se qualche merlo in preda alla fame si adatterà a beccarli, magari quando saranno spruzzati di polvere bianca, asciutta, farinosa e gelata.
Con la prima neve poserò sul davanzale un vecchio "panaro" di legno cosparso di briciole di pane e così mi assicurerò lo spettacolo di pettirossi e passeri tutte le mattine per la colazione e anche a pranzo e a cena, perché, senza vibrazioni e segnali di vita, la finestra perde lo smalto e la lucentezza.
Ci saranno lunghi mesi prima di rivedere il cielo a primavera ritornare variopinto d’alianti sopra di me e infinite specie d’uccelli ritorneranno ad animare e rallegrare con i loro canti il frutteto che ora riposa, le due altissime magnolie e la palma con le grandi foglie frastagliate che non riesce a crescere in altezza, mentre i due abeti fanno il girotondo e aspettano l’ora d’aria dei bambini del vicino asilo, per unirsi alle loro grida gioiose.
Immagini di una stagione mite, interrotte ieri dalla prima spruzzata di neve che ha smorzato i colori vivaci annunciando l’ultima stagione e ha spazzato via in un soffio la veste caratteristica dell'autunno.
E’ autunno ormai inoltrato. Un autunno anomalo: i segnali che annunciano l'inverno non si notano al mattino, quando solitamente l’abituale brezza fa sbattere porte e finestre appena si aprono per il breve giro d’aria.
E’ tutto tranquillo: la temperatura è mite, le foglie che cadono però aumentano e il selciato ne contiene un tappeto di tutti i colori, dal giallo oro al marrone testa di moro, molte sono rosse bordeaux, del colore del mosto e delle vinacce.
Un proverbio locale recita così: ’ Spassàr foje, bàtare le noxe e téndare le toxe xe laoro sprecà’, nel senso che è meglio aspettare che le foglie e le noci cadano tutte prima di raccoglierle, perché l’indomani l’operazione andrebbe ripetuta; in quanto alle figlie, anche se le controlli - se vogliono - trovano il momento per la scappatella.
Questa mattina l'aria è pulita più del solito; un breve temporale, anch’esso anomalo, ieri ha imperversato nella tarda mattinata nella fascia pedemontana sotto i monti Paù, Cengio e Summano.
Le campane instancabili battono il Mattutino; ho acceso la luce e la sveglia segna le sei e mezzo; ho contato più di trenta rintocchi.
Altri strani rintocchi, non collegabili ai soliti, mi lasciano senza risposte: forse sono per qualche Santo che merita di essere ricordato o per un avvenimento locale che sfugge alla mia memoria?
La dipartita terrena è annunciata con le campane a morto verso il mezzogiorno.
A Caltrano, fino a poco tempo fa, suonavano pure per ogni neonato che veniva registrato in Comune.
Dopo quattro cambi di domicilio, riscontro in questa casa due grandi pregi: le imposte rivolte al sorgere del sole assicurano una luce intensa per tutto il giorno; sono circondata da frutteti e orti davanti e dietro, tanto da avere la sensazione di essere capitata nel posto più rilassante; il verde mi circonda, il vivere convulso del traffico non lo percepisco: se guardo a nord la vegetazione fitta è nitida ed è visibile fin alle propaggini dell'altopiano.
Le campane sono sempre in azione con il battito deciso, ho l'impressione che qualche volta cambino l'intensità del suono, perché a seconda delle condizioni atmosferiche si sentono più o meno vicine.
Di sicuro, questo sarà per me l'ultimo domicilio, già sento la stagione che si sta avviando verso l'autunno della vita; fortunatamente il posto è il più consono: quiete e natura ideali per meditare.
Le campane di Caltrano sono a nord, separate dal fiume Astico, in linea d'aria trecento metri, quelle di Chiuppano sono più o meno alla stessa distanza, ma ad est.
E’ tutto un lavorio di competizione tra loro e io, nuova del posto, cerco di capire la provenienza dei vari rintocchi e di non confondere i vari suoni.
Ci sono stormi d’uccelli in gran movimento a interessare e a confondere il mio orecchio che mi segnala qualche deficit in arrivo...
Loro, sicuramente in fermento per la partenza, si richiamano, complottano il percorso e il capo pretende assoluta obbedienza e ascolto.
Ci sono tuttavia i ribelli, i ‘nati-liberi’ che sono sotto la mia finestra: saltellano e danzano in punta di zampa sulle foglie di ciliegio.
Devono avere un orecchio buono, perché ad ogni scricchiolio hanno uno scatto fulmineo e si spostano, sospettando pericoli in arrivo a destra e a manca.
E’ tutto un batter d’ali: le foglie gialle danzano leggere e loro si mettono in mezzo, quasi ad ostacolarne la caduta senza sosta; saltellano anch’essi leggeri cercando di fermare il carillon che sembra composto da ali gialle.
Mi chiedo se magari i passeri credano possa trattarsi di esseri viventi anziché di foglie.
Sto lì al davanzale parecchi minuti: ammutolita, osservo sbalordita, non fiato.
Ogni tanto una foglia si stacca, gira su se stessa, fa una piroetta e una giravolta e infine si arrende adagiandosi a terra.
Il capobanda continua a richiamare gli irriducibili fino a minacciarli, dà loro l’ultimatum e poi si farà il processo per intenzione d’abbandono...
Immagino che fra poco, quando l’ultima foglia smetterà di danzare, il frutteto sembrerà un camposanto d’inverno, abbandonato anche dal passero più stanco.
Noto che ci sono tante palline marrone attaccate al nespolo, un frutto dimenticato che nessuno più raccoglie e restano anche due cachi in cima alle punte della pianta ormai scheletrita.
Attaccata ai vetri noterò, se qualche merlo in preda alla fame si adatterà a beccarli, magari quando saranno spruzzati di polvere bianca, asciutta, farinosa e gelata.
Con la prima neve poserò sul davanzale un vecchio "panaro" di legno cosparso di briciole di pane e così mi assicurerò lo spettacolo di pettirossi e passeri tutte le mattine per la colazione e anche a pranzo e a cena, perché, senza vibrazioni e segnali di vita, la finestra perde lo smalto e la lucentezza.
Ci saranno lunghi mesi prima di rivedere il cielo a primavera ritornare variopinto d’alianti sopra di me e infinite specie d’uccelli ritorneranno ad animare e rallegrare con i loro canti il frutteto che ora riposa, le due altissime magnolie e la palma con le grandi foglie frastagliate che non riesce a crescere in altezza, mentre i due abeti fanno il girotondo e aspettano l’ora d’aria dei bambini del vicino asilo, per unirsi alle loro grida gioiose.
Immagini di una stagione mite, interrotte ieri dalla prima spruzzata di neve che ha smorzato i colori vivaci annunciando l’ultima stagione e ha spazzato via in un soffio la veste caratteristica dell'autunno.
giovedì 7 novembre 2019
Rose del nostro giardino in comune, profumatissime
Trovate nella spazzatura...recuperate e portate in ufficio...
E ieri serata, preparativi per serata con colleghe ed ex colleghi.
venerdì 1 novembre 2019
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