La "novena" di Natale
di Giovanna Grazian
( novena
che consiste principalmente nel recitare preghiere,
come il Rosario ma anche altre,
ripetute per nove giorni consecutivi ...iniziava quindi il 16 dicembre )
"Prima veniva la novena dell’Immacolata, frequentata con più presenze femminili: di solito mamme, nonne, ma anche fanciulle in tenera età; a breve distanza quella di Natale.
Ricordo pochi uomini nella prima, numerosi invece per la successiva, in febbrile attesa del giorno del Natale. La gioia era tutta nell’emozione del gran giorno, forse perché eravamo quasi tutti poveri e poco riscaldati; ci sentivamo vicini a quel Bambinello povero in canna, nelle stalla di Betlemme.
Forse per questo Leopardi diceva: ”L’attesa della gioia è più bella della gioia stessa”.
Avrò avuto, sette o otto anni, la volta che assieme a papà m’incamminai verso la chiesa di buon’ora sentendo parlare la prima volta di “novena“.
Ricordo l’interruzione del sonno profondo in piena notte, bisognava essere tra i banchi alle sei precise. L’arciprete, Don Eugenio, non ammetteva ritardi, il suo sguardo era fisso alla porta ad individuare i ritardatari.
La nostra casa, situata sotto la villa palladiana era abbastanza lontana dal centro storico e la chiesa si trovava più su, ancora ora, in cima al colle. Ci voleva più di mezz’ora di buon cammino sostenuto per arrivarci.
Il papà, già dalla sera precedente andava a prendere la palandrana, a volte lo chiamava tabarro nero, dal sottoscala, perché s’intiepidisse nel tepore della cucina, unica stanza riscaldata con la stufa a legna.
Lui, basso di statura, la mantella gli arrivava in fondo alle gambe, quasi copriva le scarpe e ricordo che appena in strada la allargava tutta facendomi entrare sotto interamente. Non era pura lana la stoffa nera, ma un misto di feltro ruvido che mi prudeva forte al viso.
Però, la sensazione di protezione che mi dava il camminare vicinissimo a lui, all’unisono non l’ho più dimenticato.
“Indovina dove siamo?”, - mi diceva - dopo un tratto di strada.
“Alle Maradane" dicevo io. Era una località a metà strada tra la chiesa e la nostra casa. ”Acqua, acqua"diceva se eravamo lontani. “Fuoco, fuoco” se eravamo nei paraggi.
Le strade erano buie peste in quei tempi, solo una fioca lampadina ai crocicchi. S’incontravano solo i turnisti del primo turno che scendevano a piedi o in bicicletta, dalle contrade più alte per raggiungere la cartiera sulle sponde dell'Astico.
Papà si era fatto cambiare il turno da un compagno, appositamente per esserci i dieci giorni di fila alla novena.
Arrivati in piazza allargava la mantella, come a voler dimostrare ai fedeli che convergevano dalle quattro strade, che non avevo freddo e ce la facevo benissimo, il sonno e il gelo non mi pesavano.
In realtà faceva tanto freddo, soprattutto alle punte dei piedi; il peggio era sostenere l’intera ora della durata della messa e partecipare pregando e cantando al rito della novena con questi pezzi di ghiaccio alle estremità; il gelo che scendeva dall'Altopiano ed entrava dalle porte laterali.
Non avevo un paio di scarponcini adatti, magari con il pelo bianco all’interno, le mie scarpe erano leggerissime, sfoderate, quelle dell’inizio dell’anno scolastico e neanche a parlarne di sostituirle; questi lussi a casa mia erano proibiti. Vietati! C’erano i debiti della casa da saldare...
E’ però, questo un ricordo intenso, indelebile, che mi assale prorompente ad ogni periodo di avvento che prelude il Natale.
Prime strofe scaturite dal ricordo
La novena
Scuro orbo alle sinque de a mattina: gera ora de Novena. / No me pesava l'oreta de strada/ soto la palandrana mora che me pupà me slargava/ anca se no a gera lana / Me sentivo na cuciolota soto el caldo de so mama/ seben i pie restava congelà tuto el tenpo che a durava/ ma el core se scaldava/ e ogni ano de sto tenpo el ricordo salta fora: Ze Natale, ze quà l'Ora! "